Il lavoro ai tempi di Agricoltura 4.0 tra esigenze di stagionalità e fabbisogno di nuove professionalità

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Sommario: 1. La complessità del mercato del lavoro agricolo. 2. La tipicità del carattere stagionale della prestazione di lavoro agricolo. 3. I limiti legislativi (ma non solo) all’uso del lavoro occasionale per le imprese agricole. 4. La sfida dell’apprendistato professionalizzante per un lavoro qualificato e qualificante. 5. Osservazioni conclusive. 

1. La complessità del lavoro agricolo

Il lavoro agricolo risulta indubbiamente una realtà di non facile comprensione da parte dell’osservatore esterno per le sue caratteristiche peculiari, per l’eterogeneità dei diversi comparti produttivi e la grande differenziazione che caratterizza il settore agricolo a livello territoriale, nonché per le numerose attività che, in conformità con il principio di multifunzionalità affermato a livello europeo con la riforma della PAC (Politica agricola comune) approvata nel 1999 e a livello nazionale con la modifica apportata all’art. 2135 c.c. dal d.lgs. 18 maggio 2001 n. 2281 , possono oggi essere svolte dall’impresa agricola.
Si tratta inoltre di un settore economico connotato da forti contraddizioni. È noto come le politiche agricole europee, a cui si è assistito negli ultimi tempi, abbiano orientato il settore agricolo sempre più verso logiche di concorrenza, facendo sorgere in capo alle imprese forti esigenze di contenimento dei costi. Si ricordi a tal riguardo come – dopo un iniziale approccio protezionistico proprio degli anni ‘60-‘70, caratterizzato dall’intervento pubblico di sostegno dei prezzi, seguito negli anni ’80 da una riduzione degli strumenti di sostegno economico, garantiti solo per quantità prestabilite di prodotti (le c.d. quote latte) e negli anni ’90 da una riduzione dei prezzi per avvicinarli a quelli di mercato – siamo giunti negli anni 2000 alla c.d. riforma Fischler, che ha sostituito il sistema dei pagamenti “accoppiati” ad una determinata produzione con un sostegno indipendente dal bene agricolo effettivamente prodotto2 . Con il “disaccoppiamento” le imprese che avevano beneficiato di un elevato sostegno economico, indotte a specializzarsi nelle produzioni più protette piuttosto che concentrarsi sullo sviluppo della propria struttura aziendale, trascurando le politiche di marketing, i mutamenti della domanda, le relazioni qualità-prezzo, ovvero tutti quegli elementi che caratterizzano una efficiente gestione aziendale, si sono trovate nella condizione di ridurre i costi per rimanere sul mercato e cercare di essere competitive3. Si è così assistito al fenomeno di numerose imprese che sono ricorse all’outsourcing, dando luogo a processi di esternalizzazione e di frammentazione della catena produttiva, mosse non certo da ragioni organizzative, bensì da un chiaro intento di riduzione dei costi, essenzialmente quelli relativi alla manodopera.