La nuova tutela del dipendente che segnala reati o irregolarità

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Sommario: 1. Premessa: il whistleblower nell’ordinamento sovranazionale. 2. La tutela del dipendente pubblico secondo la legge del 2012. 3. La nuova normativa: la tutela del dipendente pubblico. 4. La tutela del dipendente che segnala illeciti nel settore privato. 

1. Premessa: il whistleblower nell’ordinamento sovranazionale

Nel clima rovente da campagna elettorale, che ha caratterizzato gli ultimi mesi del 2017, è giunta al termine dell’iter parlamentare la regolamentazione per la tutela dei whistleblowers. La l. 30 novembre 2017 n. 179, detta, infatti, “disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui
siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”. L’utilizzo del termine whistleblower, ampiamente usato non solo nel ristretto campo dottrinale, pur non essendo certamente accattivante o incisivo sul piano linguistico, è però da tenere in considerazione perché ricorda il clima culturale e giuridico in cui nasce. Esso evoca i bobbies londinesi capaci, nel romanticismo dell’immaginario collettivo creato da Dickens e da Doyle, di far desistere i criminali dal perseguimento dell’atto delittuoso con il semplice utilizzo del fischietto in dotazione. Così come avviene per l’arbitro nello sport, che segnala con il fischio la violazione delle regole. Siamo dunque in un campo diverso da quello degli informatori di polizia o simili e si pongono questioni diverse, legate fondamentalmente alla protezione del dipendente che segnala illeciti. Il punto centrale, già messo in evidenza dalle fonti internazionali e sovranazionali, è la protezione dagli atti ritorsivi e discriminatori ai quali può andare incontro il whistleblower, in quanto soggetto “interno” all’organizzazione, ente, impresa nella quale avviene o dalla quale proviene l’illecito.

La convenzione adottata dall’assemblea generale dell’ONU nel 2003 contro la corruzione auspicava che gli Stati introducessero “…misure appropriate per proteggere da qualsiasi trattamento ingiustificato ogni persona che segnali alle autorità competenti, in buona fede e sulla base di ragionevoli sospetti, qualsiasi fatto concernente i reati stabiliti dalla presente Convenzione” (art. 33). Ma già in precedenza altre autorità si erano mosse in quella direzione: l’OCSE nel 1997 aveva approvato una convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali. L’OCSE, infatti, ritiene la corruzione non solo un problema morale e politico, ma che condiziona lo sviluppo economico. Nel 1999 è il Consiglio d’Europa ad approvare una “convenzione civile sulla corruzione” (dello stesso anno è anche la “convenzione penale sulla corruzione”), che contiene una disposizione analoga a quella dell’ONU: “ciascuna Parte prevede nel suo diritto interno un’adeguata tutela contro qualsiasi sanzione ingiustificata nei confronti di dipendenti i quali, in buona fede e sulla base di ragionevoli sospetti, denunciano fatti di corruzione alle persone o autorità responsabili” (art. 9).