Art. 18: un referendum inammissibile nonostante i precedenti

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Lo scorso 11 gennaio, il giudice costituzionale ha dichiarato ammissibili i quesiti referendari relativi all’abrogazione delle “disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti” e quelli concernenti le norme sul c.d. “lavoro accessorio (voucher)”. La scure della Corte si è invece abbattuta, sancendone l’inammissibilità, sulla richiesta di referendum denominato “Abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi”. Quest’ultimo quesito, pur adottando una formulazione particolarmente (e inutilmente) complessa, si poneva due obiettivi. Da una parte l’abrogazione integrale del d.lgs. 23/15 (c.d. decreto sulle tutele crescenti) contenente il nuovo regime sanzionatorio applicabile ai licenziamenti illegittimi di operai, quadri e impiegati assunti successivamente al 7 marzo 2015. Dall’altra l’abrogazione della modifica dell’art. 18 della l. 300/70 al fine di assicurare per questa via l’estensione del campo applicativo della norma. Dall’abrogazione delle disposizioni oggetto della richiesta referendariane sarebbe derivata la sostituzione degli attuali quattro regimi contemplati dall’art. 18 (tutela reintegratoria piena, tutela reintegratoria attenuata, tutela indennitaria piena e tutele indennitaria dimezzata) con l’introduzione di due sole ipotesi sanzionatorie, entrambe finalizzate ad assicurare la reintegra del lavoratore licenziato. Una soluzione destinata a produrre i suoi effetti anche sul terreno applicativo, vincolando tutti i datori di lavoro con almeno cinque dipendenti e, non più, soltanto le imprese dotate di almeno quindici.
Di qui la supposta mancanza di contenuto unitario della richiesta referendaria. Eppure la Corte ha in passato offerto una interpretazione quanto mai estesa della nozione di omogeneità del quesito, ammettendo la presenza di una “matrice razionalmente unitaria” anche a fronte di richieste concernenti più atti normativi. Anche in questo caso il giudice sarebbe potuto approdare alle medesime conclusioni, dato che la richiesta di reintrodurre il sistema della “reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa” si fondava su un’istanza razionalmente unitaria e intrinsecamente corrispondente al titolo del referendum.
Più controversa la questione (sottesa alla formulazione della parte finale del quesito) concernente l’automatica estensione delle tutele a tutte le imprese strutturate con più di cinque dipendenti. Attraverso un’abile “manipolazione” del testo, il quesito referendario puntava, in questo caso, ad assicurare una più ampia estensione delle tutele, anche oltre gli ambiti applicativi delineati dalla precedente normativa. Di qui la temuta alterazione, censurata dal giudice costituzionale, della natura stessa del referendum (da abrogativo a propositivo).