Giustizia e fondamento variabile dell’autonomia negoziale

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Sommario: 1. Il contratto borghese e la sua evoluzione proto-industriale: libertà e procedimento. 2. Giustizia procedimentale e socializzazione del contratto. 3. Costituzionalizzazione dell’autonomia negoziale e giustizia distributiva. 4. Il secondo millennio. Ulteriori antefatti e inizio di svolgimento. 5. Cambia il mezzo o cambiano i fini?

1. Il contratto borghese e la sua evoluzione proto-industriale: libertà e procedimento

“Il diritto è storia e niente altro che storia”, insegnava Riccardo Orestano e – al pari di tutti i fenomeni storici sostanziati da scelte inerenti all’organizzazione delle comunità umane – i suoi istituti e le sue categorie sono soltanto intelligibili in relazione a presupposti squisitamente ideologici. 
Tra le categorie ordinanti dell’esperienza giuridica moderna, il contratto è quello che forse più limpidamente, nel corso del tempo, ha espresso i (differenti) fondamenti ideologici che ne hanno condizionato l’elaborazione. È perciò, invertendo la prospettiva, anche la categoria che a mezzo dei sui sviluppi e della evoluzione del pensiero, non soltanto giuridico, su di essa testimonia della storia politica sociale ed economica dei Paesi dell’Europa occidentale con maggiore dovizia di particolari. Di quest’ultima, la storia del contratto racconta le lente correnti profonde come pure i rapidi movimenti di superficie, la continuità, le discontinuità e le fratture1 L’istituto nasce con un contenuto fortemente politico L’ideologia del contratto quale espressione di potere privato di autoregolamentazione, (significativamente) assieme a quella del contratto sociale come giustificazione del potere dello Stato, raggiunge una sua prima maturazione nella montante crisi della sovranità che segna il tramonto dell’ancien régime e poi la nascita dello Stato moderno. L’una ideologia e l’altra, entrambe si affermano nel passaggio dal Diciottesimo al Diciannovesimo secolo, là dove l’emersione e l’affermazione della borghesia sono frutto di una profonda frattura storica: di nette discontinuità economica e politica e, a monte, etica. Discontinuità economica per l’effetto travolgente della rivoluzione industriale sugli equilibri sociali, demografici e territoriali. Discontinuità politica, per ciò che di per sé implica la costruzione di uno Stato nuovo, fondato sull’unità nazionale e sulla libertà privata, nel quale la stessa borghesia integralmente si immedesima. Libertà, dunque, non giustizia. L’etica della quale si fa carico il contratto è quella fondante le “due rivoluzioni”. Presupposto ne è il trasferimento dei valori della vita attiva dall’arena pubblica alla sfera privata. Centrale ne è l’affermazione che “il perseguimento dei propri privati interessi materiali è una forma perfettamente legittima di condotta umana, la quale può di fatto essere preferibile,
dal punto di vista della società, ad una vita di coinvolgimento intenso negli affari pubblici” (il virgolettato riproduce un passaggio della nota quanto mirabile ricostruzione di Albert Hirshman).
Il contratto, avente a epicentro il consenso, costituisce dunque, da un lato, il mezzo per tradurre in principio politico la conquista del potere da parte della classe emergente; dall’altro lato, è strumento parimenti essenziale di espansione della prima economia industriale. 
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