Brevi note sull’uso del diritto anti-discriminatorio a difesa del work-life balance*

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Sommario: 1. La novità normativa… 2. …e l’orientamento giurisprudenziale recepito. 3. Il diritto anti-discriminatorio e il work-life balance: quale orizzonte di tutela?

1. La novità normativa…

Un recente intervento normativo è andato ad apportare delle modifiche all’art. 25 del Codice delle Pari Opportunità (d.lgs. n. 198/2006), cioè alla disposizione in cui è formulata la nozione di discriminazione. La legge n. 162/2021, nell’emendare il Codice con l’obiettivo di promuovere l’occupazione femminile in condizioni di parità di salario e opportunità di crescita professionale con gli uomini1, ha messo mano alla previsione citata, da un lato, puntualizzando che l’ambito di ricerca e repressione dei comportamenti che possono configurare ipotesi di discriminazione diretta e indiretta si estende anche alla fase di selezione del personale e, dall’altro, accendendo un faro sulle potenzialità discriminatorie delle misure organizzative attuate dal datore di lavoro. In questa seconda prospettiva – sulla quale ci si concentrerà d’ora in avanti – il legislatore ha voluto innanzitutto precisare che tra gli atti e comportamenti apparentemente neutri che possono integrare una discriminazione indiretta qualora determinino una situazione di particolare svantaggio per le lavoratrici rispetto ai lavoratori e viceversa devono includersi anche “quelli di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro” (art. 25 co. 2); ha inoltre chiarito che è da considerarsi discriminatorio «ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti», può porre la lavoratrice o il lavoratore in una situazione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri dipendenti o può essere causa di una limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita aziendale o di crescita professionale (art. 25 co. 2-bis). Viene così recepito un orientamento che già si era formato nella giurisprudenza di merito, la quale, in più di un’occasione, ha accertato il carattere discriminatorio di decisioni datoriali, aventi ad oggetto l’organizzazione dell’orario di lavoro, capaci di incidere negativamente sulla possibilità dei genitori e soprattutto delle madri (soggetti che cumulano il fattore di rischio costituito dal sesso femminile e quello della genitorialità) di conciliare lavoro e impegni della vita familiare. Un richiamo ai più significativi di questi casi è utile per comprendere appieno la tendenza in atto nelle corti di merito e la rilevanza sostanziale della novella.