Sommario: 1. La cornice delle OGR. 2. Le ragioni di un titolo. 3. Binario 1: dalla Rust Belt alle Midlands. 4. Binario 2: nella transizione. 5. Un finale sospeso.
1. La cornice delle OGR
La cornice che fa da sfondo alle opere d’arte raccolte sotto il titolo Vogliamo tutto. Una mostra sul lavoro, tra disillusione e riscatto1 è senza dubbio suggestiva: le installazioni occupano i binari 1 e 2 delle Officine Grandi Riparazioni (OGR), vale a dire dell’imponente complesso industriale che, operativo per quasi cent’anni a Torino nell’attività di costruzione e riparazione dei treni2, è stato restituito alla città nel 2017 – a seguito di un significativo intervento di restauro e riqualificazione – nella sua nuova veste di “Officine della cultura contemporanea, dell’innovazione e dell’accelerazione d’impresa a vocazione internazionale”3. Si tratta di una cornice non solo monumentale e suggestiva ma anche perfettamente calzante rispetto all’oggetto della mostra collettiva, in considerazione del denso vissuto industriale e operaio delle OGR, plasticamente raffigurato nell’installazione permanente Procession of Reparationists dell’artista sudafricano William Kentridge ospitata nel cortile d’ingresso delle Officine. Le tredici sculture di grandi dimensioni che compongono la processione di Kentridge (costituite da silhouettes di metallo nero su basamenti di cemento che ricordano, nonostante i materiali impiegati, la ‘leggerezza’ dei ritagli di
carta) ritraggono, uno dietro l’altro, lavoratori e lavoratrici che hanno abitato nel passato i luoghi di quella grande fabbrica ferroviaria e che ben introducono, come in un museo a cielo aperto, il tema della mostra Vogliamo tutto. Quelle figure ibride di persone e macchine4, ispirate alle foto e ai giornali dell’epoca, sono testimonianza di un lavoro pesante, faticoso e pericoloso ma anche dei gesti sicuri, dell’impegno e della perizia di chi li compiva ogni giorno. Per i visitatori che attraversano il cortile dirigendosi verso l’ingresso della mostra sono senz’altro una presenza fortemente e teatralmente evocativa del mondo del lavoro senza tempo, in preparazione di ciò che troveranno variamente rappresentato nei locali delle Officine attraverso un percorso espositivo che si snoda in spazi non a caso denominati ‘binari’, in nome degli antichi tracciati dei treni che dominavano quei luoghi.