Il blocco dei licenziamenti. Le ragioni, i tempi e i modi di una misura controversa

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Sommario: 1. Qualche considerazione preliminare. 2. Il blocco dei licenziamenti nella successione dei decreti. 3. Le opinioni contrarie al blocco. 4. Blocco sì, ma con juicio. 5. Una lettura ragionevole (anche alla luce del d.l. 137/2020). 6. E dopo?

1. Qualche considerazione preliminare

1. Mentre scrivo queste note (tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre di questo annus horribilis), la seconda ondata della pandemia, piombata con violenza su un Paese impreparato e disorganizzato, ha costretto il Governo ad emanare, con una sequenza ravvicinata di dpcm (l’ultimo al momento è il dpcm del 3 novembre), nuovi provvedimenti restrittivi della libertà delle persone, accompagnati dall’imposizione di chiusure totali o forti limitazioni di attività di interi settori e dal ritorno alla DAD per milioni di studenti. Il lockdown, anche se non totale, mentre colpisce duramente settori già messi a terra dalle misure adottate nella primavera scorsa, scatena proteste non sempre pacifiche che l’emanazione del d.l. 137 del 28 ottobre (c.d. decreto “ristori”) non è riuscita a placare. Il Consiglio dei Ministri ha approvato un secondo d.l. “ristori” (detto “ristori bis”) e a giorni ne arriverà un terzo. Il fosco quadro sanitario, il più che preoccupante quadro economico, l’inquietante quadro sociale fanno sembrare per certi versi grottesche le baruffe tra giuristi che spaccano il capello in quattro nell’interpretazione di misure emergenziali con le quali – non senza affanno e spesso con scarsa precisione – chi governa tenta di dare risposte ai tanti bisogni, gravi e urgenti, creati o aggravati dalla pandemia. Un bell’esempio di questa attitudine dei giuristi (mi riferisco qui ai giuslavoristi tra i quali mi annovero anche io da lunga pezza) potrebbe ritenersi la discussione innescata dal “blocco dei licenziamenti”: una misura così emergenziale da avere come unico precedente (in termini)1 quello introdotto dal d.lgs.lgt. 21 agosto 1945 n. 523 (prorogato fino all’agosto del 1947)2, e così specificamente nostrana da trovare scarsi riscontri nelle misure con cui altrove in Europa i Governi stanno cercando di fronteggiare le gravi conseguenze sociali della pandemia3. Potrebbe. Ma sarebbe un modo ingeneroso di rappresentare lo sforzo di confrontarsi con una misura, che anche a causa del progressivo slittamento del termine di scadenza (ora fissato dal d.l. 137 al 31 gennaio 2021, ma già è stata preannunciata la proroga al 31 marzo 2021)4, tocca il nervo scoperto di una prerogativa che gli imprenditori considerano sacra e inviolabile: la libertà di licenziare, o, detta meno brutalmente, la libertà di scegliere in ordine al quantum (oltre che all’an e al quomodo) dell’impresa, corollario della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41, comma 1, Cost. Una misura, il blocco dei licenziamenti, che mette sul piatto della discussione i valori di fondo coinvolti nel gioco degli interessi in conflitto.