Inclusione e cittadinanza

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“Come dice il proverbio,
chi ha molto riceverà ancora di più e vivrà nell’abbondanza;
chi ha poco, gli porteranno via anche quel poco che ha”.
MATTEO, 25, 29.
“Gli italiani sposano un’idea
e subito la lasciano con la scusa che non fa figli”
LEO LONGANESI

La povertà

La recente questione del reddito di cittadinanza rappresenta un caso sociologico di estremo interesse perché consente di osservare, come sotto una lente di ingrandimento, il rapporto culturale e socio-politico che il Paese intrattiene nei confronti dei suoi cittadini poveri. Vale la pena di iniziare da alcuni dati essenziali. Su 196 Paesi al mondo, l’Italia è al 23° posto per numero di abitanti, all’ottavo posto per Prodotto Interno Lordo e al 32° posto per Pil pro-capite: è, dunque, un paese ricco. Però la ricchezza vi è distribuita in modo disuguale, con disuguaglianza crescente. Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2010 era a rischio di povertà un italiano su 3. E questa crescita della divaricazione è avvenuta anche mentre governava la sinistra. Secondo l’Istat 1,8 milioni di famiglie, ovvero 5 milioni di persone pari all’8,3% della popolazione residente, è in condizione di povertà assoluta, cioè priva dei mezzi necessari per vivere con dignità. Un povero su due ha meno di 34 anni di età e, secondo Save the Children, i bambini poveri sono 1.268.000. Nel 2007, vigilia della grande crisi economica, la ricchezza delle dieci famiglie italiane più facoltose era pari a quella di 3,5 milioni di poveri; dieci anni dopo, nel 1917, le stesse dieci famiglie avevano una ricchezza pari a quella di 6 milioni di poveri. Nei dieci anni recenti, economicamente i più difficili dell’ultimo cinquantennio, il patrimonio dei 6 milioni di italiani più ricchi è cresciuto del 72% mentre quello dei sei milioni più poveri è diminuito del 63%. Resta valido più che mai il passo evangelico “Come dice il proverbio, chi ha molto riceverà ancora di più e vivrà nell’abbondanza; chi ha poco, gli porteranno via anche quel poco che ha” (Matteo, 25, 29).

La disoccupazione

Nel periodo in cui sono stati varati il reddito di inclusione (Rei) introdotto dal PD e il reddito di cittadinanza (RdC) voluto dai 5 Stelle, i disoccupati in Italia si aggiravano intorno al 10% e la disoccupazione giovanile era del 35% circa. Per gestire la disoccupazione c’erano 9.000 impiegati in 536 Centri per l’impiego regionali, molto sgangherati, che costavano allo Stato 780 milioni di euro l’anno e che usavano banche dati circoscritte alla regione per cui nessun centro conosceva la situazione delle altre regioni. In Germania, dove i disoccupati sono il 3,5%, le “Bundsagentur für Arbeit”, perfettamente funzionali e informatizzate, occupano 111.000 impiegati e costano 12 miliardi l’anno. In settant’anni di vita repubblicana nessun governo ha affrontato il problema dei centri per l’impiego e l’Italia è rimasta priva di una rete preziosa non meno della rete autostradale o elettrica.