Umberto Romagnoli, Giuristi del lavoro nel novecento italiano. Profili, Roma, Ediesse, 2018, pp. 334

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1. Questo libro di Umberto Romagnoli ha un taglio storico-metodologico ed è denso di contenuti sui quali è utile riflettere: oggi più che mai, cioè nell’epoca in cui si mette in discussione l’essenziale funzione del diritto del lavoro, dei suoi valori e dei suoi canoni. Ritenuti, da alcuni anni, non più coerenti con la moderna concezione dei diritti, dei lavori e dei mercati. I quali ultimi, secondo le teorie economiche del “neo-liberismo”, non possono non prevalere sui primi due.

Il taglio storico è quello centrale. Lo si evince già dal titolo del volume: “Giuristi del lavoro nel novecento italiano. Profili”. R. ci fa entrare in una sorta di “Archivio Storico”, di “Galleria”, in cui ha sistemato i ritratti di alcuni giuslavoristi del secolo scorso, a suo parere meritevoli di essere ricordati per il rilievo assunto nella storia del diritto del lavoro. Ritratti costruiti nel tempo, talora in occasione della commemorazione di questi studiosi, specie quelli più giovani, scomparsi all’improvviso. Dei quali ha letto e riletto le opere.

Il taglio metodologico si coglie invece nella premessa. Che si apre con la citazione di Giovanni Tarello: celebre filosofo del diritto, scomparso troppo presto, che spesso R. a ragione cita nei suoi scritti. Tarello infatti ha profuso il suo ingegno negli studi di storia della cultura giuridica, raccogliendone in vari volumi (per i tipi del Mulino) i Materiali, fondamentali dal punto di vista storiografico. Proprio a Tarello devono molto i giuslavoristi della mia generazione e in parte anche quelli della generazione di R. (naturalmente più i “giuslavoristi della ricerca” che i “giuslavoristi del foro”). Infatti, con il libro, che fece epoca negli anni ’70, su “Teorie e ideologie nel diritto sindacale. L’esperienza italiana dopo la Costituzione” (del 1972), Tarello ha dato ai giuslavoristi un’importante “lezione”, alla quale giustamente R. intitola la premessa del suo libro. Una lezione di “filosofia del diritto del lavoro”, impartita attraverso il metodo: che in sostanza è sempre l’epifania (anche involontaria) della personalità scientifica del giurista. R. riporta a tal proposito un’eloquente frase di Tarello: “poco si comprende del funzionamento dell’organizzazione gius-politica di un’epoca e di un paese, se non se ne conoscono gli operatori: tra questi, principalmente i giuristi”. La “lezione di Tarello”, dunque, racchiude il senso profondo del volume di R. Lo dico sia perché ho visto nascere questo libro – grazie ai frequenti contatti con R. (per lo più telefonici e telematici) – sia perché ne condivido la scelta, convinto come sono che, per capire il diritto, occorre partire dalla storia. Infatti il giurista, che per natura interroga il suo tempo, non può far bene il suo mestiere se non conosce le origini storiche dei vari e complessi processi che poi scandiscono l’andamento della contemporaneità. E siccome, come dice Tarello, “una storia del diritto deve praticare il genere letterario della biografia intellettuale”, R. fa tesoro di questa lezione. Del resto è noto che la storia lo ha sempre appassionato: già dieci anni or sono pubblicò “Giuristi del lavoro: percorsi italiani di politica del diritto” (Ed. Donzelli), in cui traccia le fondamentali linee evolutive del diritto del lavoro rileggendo la vita e l’opera di alcuni dei suoi protagonisti. Adesso qui fa la storia del diritto del lavoro richiamando l’attenzione sui giuristi che per lui più hanno segnato la letteratura giuslavoristica dello scorso secolo e del primo decennio del nuovo. (Di costoro, anzi, nell’appendice del libro, traccia pure la biografia).