Interposizione e subordinazione. Una recensione un po’ tardiva*

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Sommario: 1. “I fratelli Caponi”. 2. L’effervescente 1979. 3. Bodoni old style. 4. La parte storica ci vuole sempre. 5. Alla ricerca dell’utilizzatore effettivo. 6. Contratto o rapporto: ritorno al futuro? 7. Quarant’anni dopo. 8. Lieto fine.

1. “I fratelli Caponi”

Sono legato a Oronzo Mazzotta da un’amicizia che travalica l’ambito della colleganza; essa deriva anche dall’affinità dei percorsi di vita e di lavoro: lui pugliese di Lecce, io lucano di Salerno (se mi si passa il sincretismo geografico), entrambi da qualche tempo in Toscana, peraltro in due città come Pisa e Siena che non hanno mai avuto motivo di suonarsela di santa ragione (evento più unico che raro nella regione dei campanili). Ormai lo considero il fratello maggiore che non ho, col rispetto e l’irriverenza che si devono a questa figura. Non a caso, quindi, abbiamo preso l’abitudine di definirci “i fratelli Caponi”, con un riferimento che può apprezzare solo chi, come noi, sia cultore del principe De Curtis1. Questo piccolo omaggio vuole ricordare un suo libro che ha molto influenzato la mia formazione lavoristica. Ma è una storia che va raccontata dall’inizio.

2. L’effervescente 1979

Alla fine degli anni Settanta ripartirono i concorsi per professore (stra)ordinario, allora sostanzialmente l’unico ruolo stabile in un’Università popolata per il resto da una miriade di “assistenti” variamente denominati, più o meno precari e più o meno in attesa di qualche provvidenziale ope legis. Il bando prevedeva che il concorso si chiudesse nel 1980 e assegnava al diritto del lavoro diciotto posti: una quantità considerevole, soprattutto se contestualizzata nella realtà del tempo, ma comunque destinata a far gola a un numero sicuramente superiore di giovani studiosi in lista d’attesa, soprattutto perché erano addirittura cinque anni che non si facevano concorsi a cattedra. Ciò, naturalmente, provocò la prevedibile conseguenza di un incremento esponenziale del numero delle monografie edite nell’imminenza della prova, per superare la quale ne era allora ampiamente sufficiente una soltanto, anche in edizione provvisoria. Nella sua seguitissima rubrica sul Giornale di diritto del lavoro, Gino Giugni notò con la consueta ironia che questo dato poteva far pensare a una produzione determinata esclusivamente dallo stimolo (se non dall’urgenza) del concorso, e non dal “nobile proposito di svolgere ricerche e farne circolare i risultati”; anche se, tirando le somme, gli sembrava che il livello qualitativo fosse “buono, talvolta eccellente”, di sicuro migliore della produzione addensatasi in occasione del concorso del 19752.