L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori alla prova della riforma Madia: «vorrei…ma non posso»

Scarica il PDF


La vicenda della tutela dei dipendenti e dirigenti pubblici in caso di licenziamento illegittimo è ancora una volta rappresentativa dello stato di progressiva “decozione” del modello che aveva ispirato il processo di privatizzazione del lavoro nelle p.a., quanto meno sul piano delle fonti di disciplina applicabile. Da un lato, il legislatore, ben prima della riforma del 2009, ha con sempre maggiore insistenza occupato spazi regolativi, attraverso discipline di legge speciali, diverse da quella applicabili ai lavoratori del settore privato o comunque destinate ai soli dipendenti pubblici; dall’altro, laddove sono state introdotte importanti modifiche agli assetti normativi del lavoro nell’impresa, attraverso diverse tecniche di vera e propria “esclusione” o di “armonizzazione”, il lavoro nelle amministrazioni pubbliche è restato sostanzialmente “fuori” dalle più recenti riforme del diritto del lavoro. Quanto questo incida su modelli ordinamentali che devono dialogare e cooperare in modo omogeneo sui mercati dei servizi, nonché su efficienza e risposte di supporto strutturale all’intero sistema economico, è ancora troppo presto a dirsi.

Il fenomeno ha tuttavia certamente prodotto una deviazione dallo schema dell’art. 2, comma 2, prima parte, del d.lgs. n. 165/2001, e da quello, altrettanto noto, dell’art. 51 dello stesso TUPI, con ciò realizzando una sempre più ampia diversificazione di discipline che tradisce l’intento originario della riforma, poi però integralmente confermato, almeno sul piano formale, dai legislatori successivi. Semplicemente, oggi, nonostante le affermazioni di legge, non è vero che i lavoratori pubblici sono assoggettati alle stesse regole dei lavoratori privati; ed anzi, la linea è quella di dotare i primi, secondo vecchia ma solida concezione, di uno statuto normativo proprio, ben identificabile, il più possibile unificante per la categoria. Poiché l’idea della riforma del 1992/’93 e di quelle successive, nel senso della omogeneità delle regole settoriali tra lavoro privato e pubblico, pur positivamente (e a più riprese) sottoposta al vaglio costituzionale, non ha a sua volta ricevuto un processo di “costituzionalizzazione”, bisogna però senz’altro ammettere che il legislatore ordinario possa, con norma successiva, modificare e diversificare il regime giuridico dei dipendenti pubblici rispetto a quello dei lavoratori privati, pur seguendo la stessa matrice privatistica e contrattuale […]