Il tapis roulant e il reddito di cittadinanza

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Negli aeroporti o nelle stazioni, ma anche nei centri commerciali
o negli ospedali, di quando in quando, si trovano dei nastri trasportatori.
Qualcuno li usa per procedere più velocemente; altri 
li usano per tirare il fiato, altri se ne servono per portare i propri
pesanti fardelli e, altri ancora, si lasciano trasportare. Qualcuno
non ne ha bisogno e va per la sua strada. Ognuno usa il tapis
roulant come meglio crede: chi per riposarsi, chi per rilanciarsi,
chi per riflettere. Il reddito minimo è qualcosa del genere.

Sommario: 1. Introduzione. 2. Il reddito di cittadinanza: il patto per il lavoro. 3. Segue. Il patto per l’inclusione sociale. 4. Segue. La pensione di cittadinanza. 5. Il sistema dei servizi pubblici per l’impiego (centri per l’impiego). 6. Questioni aperte: diritti e doveri. 7. Segue. Contendibilità delle opportunità. 8. Segue. Incentivi e disincentivi. 9. Segue. Occupati e disoccupati. 10. Segue. Prime evidenze sui beneficiari della misura. 11. Considerazioni conclusive.

1. Introduzione

Come si arriva al reddito di cittadinanza? Vari tipi di reddito minimo, di base o universale sono stati implementati in molti Paesi per la necessità di fronteggiare la disoccupazione involontaria o i risvolti del cambiamento tecnologico1 e delle nuove forme di organizzazione del lavoro. Questo allarme – inteso come il rischio che il lavoro venga sostituito dalla macchine e che le dinamiche occupazionali dipendano sempre meno dalle funzioni di produzione delle imprese2 – è il motivo del favore che stanno riscuotendo gli schemi di basic income3.
“La grande anomalia della situazione italiana, più che l’entità della spesa complessiva per la protezione sociale, riguarda piuttosto la struttura interna della spesa: i confronti europei mettono in luce infatti marcate distorsioni. Fra queste risalta l’assenza in Italia di uno schema di reddito minimo per chi è totalmente sprovvisto di mezzi. Tutti i Paesi europei sviluppati dispongono di questo tipo di schemi e servizi”. Dunque, la Commissione Onofri già nel 1997 forniva già tutti gli elementi al dibattito politico di questi mesi. Percepiva come il lavoro e la società stessero cambiando – rapidamente, radicalmente – e fosse necessario ripensare il welfare, gli strumenti e il tipo di cura da dare alle persone. Si sosteneva come fosse necessario legare le tutele a un diritto soggettivo. Chiamarono minimo vitale lo strumento di tutela (allora si parlava di “ammortizzatore sociale”) che avrebbe dovuto garantire a qualsiasi cittadino – indipendentemente dal genere, dalla classe sociale, dalla professione, in condizioni di indigenza per ragioni non dipendenti dalla propria volontà – di poter accedere ad una indennità e a servizi per uscire dallo stato di bisogno.